GASTRONAZIONALISMO

Gastronazionalismo” (People Idee) è il libro di Michele Antonio Fino, Anna Claudia Cecconi ed Andrea Bezzecchi che, attraverso il cibo e la sua protezione, parla dell’Europa e della sua identità. L’autore ne ha discusso con Silvano Valsania domenica 30 giugno 2025 al Castello di Cisterna in occasione di “Usanze” concludendo gli incontri per l’ a.s. 2023/2024. L’iniziativa è stata organizzata da Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’ Albese – I.C. di S. Damiano, Museo Arti e Mestieri di un Tempo,

Proloco e Comune di Cisterna con Fra production Spa, Libreria "Il Pellicano" e Aimc di Asti.

Michele Antonio Fino (Revello, 1973) è professore associato di Fondamenti del Diritto Europeo nell'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Formatosi tra Torino e Ferrara, coltiva lo studio storico del diritto, con particolare attenzione per la storia degli istituti. Delegato del Rettore per la Terza Missione, coordina il Master in Food Culture Communication & Marketing. Scrive su riviste tecniche di temi legati all'agricoltura, ha curato due guide alla etichettatura dei vini edite da Vignaiolo Piemontesi, e su Instagram svolge divulgazione giuridica con lo pseudonimo di @ermezio. Nel 2024 ha pubblicato "Non me la bevo" per Mondadori.

Come ha sottolineato in apertura Silvano Valsania, “Gastronazionalismo” è un saggio che sta riscuotendo molto successo e che, attraverso la legislazione sul cibo, rivela altri aspetti su cui non si sta riflettendo abbastanza. È un libro sull’Europa e la sua identità. Spesso non si guarda alle qualità organolettiche ma ci si concentra solo sull’origine come se, da sola, risolvesse tutto e fosse una garanzia.

Questo lavoro – come ha detto l’autore – è nato nel 2021. Il gastronazionalismo è un nazionalismo banale capace di portare alla discriminazione, utilizzando il cibo come strumento per dimostrare la propria superiorità. Quindi, anziché prendersela con le persone, attacca il cibo. Tutti concordiamo sull’importanza della biodiversità e la difesa del territorio ma, quando si vuole difendere un proprio prodotto a prescindere, si arriva al nazionalismo. Per questo occore riflettere per non veicolare stereotipi dai quali è poi difficile uscire perché parlare di diversità va bene mentre è preoccupante farlo in base alla superiorità di un alimento soprattutto se poi non ci permette di indagare com’è stato prodotto, ad esempio disinteressandoci della questione del rispetto delle norme che tutelano i lavoratori.

Questa euristica – ha detto Fino – è un problema ma un altro è che questo tipo di banalizzazione può portare all’ estremismo. Tutto ciò inquina il nostro vivere sociale ed è per questo che ci è sembrato importante approfondire”.

Molti sono gli esempi: dal parmigiano reggiano all’aceto balsamico. Spesso, ciò che ci sembra un’imitazione è prodotto da italiani immigrati all’estero da generazioni. La constatazione è che, anche con formaggi simili, non si crea un danno al nostro parmigiano reggiano perché sarebbe impossibile produrne di più.

Per quanto riguarda la questione della DOP e IGP sono nate nel ‘92 perché gli italiani, quando erano poveri, non erano interessati a questo. Quando poi la maggior parte degli alimenti è stata prodotta industrialmente, si è cercata la nicchia mitizzando quanto avveniva prima.

Quindi usiamo la certificazione DOC, non solo per i vini, a partire dagli anni ‘80 quando la grande distribuzione avanza e si cerca di proteggere i prodotti locali e chi li produce. Si impone uno standard a livello europeo e, nel ‘92, nascono le certificazioni DOP e IGP fornendo una tutela per vendere in tutti i Paesi del mondo. Purtroppo, poi, queste certificazioni si sono estese in modo esponenziale non rispetto alla qualità del prodotto ma in base alle richieste dei produttori. Però la qualità non si certifica in questo modo ma questi marchi costano moltissimo al produttore che, se non ha un’esportazione adeguata, viene penalizzato. Intanto, le nuove normative permettono di accordarsi – all’interno del distretti del cibo – anche per quanto riguarda i trattamenti.

Rispetto ai presidi Slow Food, alcuni erano necessari ma altri no. In ogni caso, non si deve abbattere la biodiversità ma fare dei presidi quando un buon prodotto rischia di sparire perché non è tutelato e forte.

Il libro aiuta a riflettere anche su un altro aspetto: le tradizioni fisse nel tempo sono miti.

L’ identità è qualcosa in cui si può aggiungere ciò che ci fa stare bene cercando di non trincerarci in un momento di debolezza. I bambini non devono essere esposti a tradizioni inventate” ha detto Fino.

Significative, in conclusione, le parole dell’Assessore Mauro Bastita che ha ricordato come, per ciascuno di noi, sia sempre necessario attraversare il cambiamento.

Giovanna Cravanzola


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