Otto stereotipi sulla persecuzione antiebraica nell'Italia fascista
NE HANNO DISCUSSO IN VIDEOCONFERENZA NICOLETTA FASANO E MICHELE SARFATTI PER IL POLO CITTATTIVA
Shoah e antisemitismo sono argomenti da approfondire durante tutto l’anno ed è per questo che il prof. Michele Sarfatti ha discusso, con la dott.ssa Nicoletta Fasano (Israt), del suo ultimo libro “Il cielo sereno e l’ ombra della Shoah. Otto stereotipi sulla persecuzione antiebraica nell’Italia fascista” (Ed. Viella). La videoconferenza – che si è tenuta martedì 9 febbraio 2021 - è stata organizzata da Polo Cittattiva per l’ Astigiano e l’Albese – I.C. di San Damiano d’ Asti, Museo Arti e Mestieri di un Tempo, Israt e Casa della Memoria della Resistenza e della Deportazione di Vinchio, Associazione "Franco Casetta" con Fra production spa, libreria "Il Pellicano" e Aimc di Asti.
Come ha detto la dott.ssa Fasano in apertura, Michele Sarfatti è uno dei più attenti storici della storia ebraica in ambito contemporaneo soprattutto durante il fascismo. I suoi libri sono stimolanti e complessi per la ricchezza della documentazione e la serietà dell’argomentazione. Il libro fa parte della collana “l’antidoto”, quasi un antiveleno contro la volontà di decostruire narrazioni storiche che non hanno alla base una documentazione scientifica.
Sarfatti analizza otto inciampi, deragliamenti, ostacoli e, attraverso documenti storici, aiuta a comprenderli. Partendo dal censimento del 1938. La dittatura voleva assegnare a tutti un posto preciso e non tollerava il possesso di più appartenenze. Chi era in mezzo a due mondi, viveva percorsi individuali che diventavano fragili perché non c’era più posto per identità plurime. Il censimento degli ebrei ha riguardato milioni di persone. “L’antidoto, il nome della collana, è stato scelto prima della pandemia.
Su questo tema e anche su altri c’ è un accumulo di pensieri studiati male e usati dopo, a volte in buonafede, anche dagli storici – ha detto Sarfatti – ed è per questo che, nel testo, ho usato i termini inciampo e deragliamento che riguardano il cammino a piedi ma anche un percorso ferrovario. Ho usato il Manifesto della razza per trovare le contraddizioni al suo interno. È il decalogo del razzismo italiano, documento unico in Europa perché nessun altro regime fascistico ha cercato di regolarizzarlo in questo modo. Il fascismo, invece, aveva la necessità di educare il popolo al razzismo, era un progetto di comunità e sull’educazione dei giovani ci si è impegnati molto.
Per questo è molto importante lo studio di questo documento che, dopo la guerra, è stato attribuito solo agli scienziati. In realta, era un manifesto fascista. Un documento del genere doveva essere scritto con un linguaggio accurato e Mussolini era consapevole di non sapere molto su questo tema. Era necessaria la scrittura tecnica di un addetto ai lavori e poi occorrevano le firme di docenti universitari per attestarne la esattezza scientifica. Invece, nella sua veste di giornalista, non poteva afffermare l’esattezza di quanto affermava. Dire che era solo un manifesto degli scienziati revoca la responsabilità fascista”.
Un altro inciampo riguarda la convinzione che le deportazioni siano iniziate a Roma in modo sistematico. In realtà, come testimonia un documento scoperto dagli americani che, però, non ne avevano compreso l’importanza, avrebbe dovuto partire da Napoli. Si tratta di una relazione di Kappler che afferma di non aver potuto effettuare la retata a Napoli per motivi ambientali dovuti all’insurrezione di quei giorni. Invece, si è sempre pensato che si fosse iniziato a Roma per la presenza del Papa ma anche di una grande comunità ebraica.
“Ritengo sia importante trasmettere conoscenza ai giovani e non la retorica della memoria. È necessario comprendere. È il senso della conoscenza che è sapere e rielaborazione per comprendere non in modo passivo. Se la scuola fa questo è una benedizione divina senza necessità di sacralizzare. Sono contrario al “dovere della memoria” perché bisogna parlare, insegnare ma non come dovere. Con l’obbligo e l’autoritarismo li aiutiamo a essere retori o retorici ma non ad entrare dentro un problema. Bisogna abituare a pensare. Far capire che c’è una dignità nel passare le cose. Bisogna avere un senso del passato come hanno fatto in Germania dove si hanno comportamenti e atteggiamenti, anche in politica, che qui non ci sono” ha concluso Sarfatti.
Giovanna Cravanzola