IL RAGAZZO NEL BUNKER

Antonio Armano è giornalista e scrittore di quelli si documentano a fondo e non solo. “Il ragazzo nel bunker. Storia di Bernard Mayer, sopravvissuto alla liquidazione del ghetto di Drohobycz” (Ed. Piemme), il suo ultimo libro, è stato presentato in videoconferenza martedì 25 gennaio 2022. L'incontro è stato organizzato da Polo Cittattiva per l' Astigiano e l’ Albese – I.C San Damiano d’Asti, Museo di Cisterna, Israt, Associazione "Franco Casetta" con Fra Production Spa, Libreria "Il Pellicano", Aimc di Asti e, nell’ambito dell’iniziativa #bottiglieperlacultura, con Cantine Povero srl. Come ha detto in

apertura la dott.ssa Nicoletta Fasano dell’ Israt, si tratta di un libro che non può essere catalogato in nessun genere. “Un lavoro estremamente interessante e coinvolgente, 400 pagine in cui si respirano i luoghi e storie. Un libro cinematografico che e riesce a trasportarti in quei posti di cui parla. La vicenda non si svolge in nessun campo di sterminio ma narra di 46 ebrei nascosti per 17 mesi in un bunker sotterraneo. La cittadina per metà è abitata da ebrei che sono sterminati sul luogo. Emerge il forte e radicato antisemitismo degli abitanti del luogo.Tema di cui si parla poco e che prosegue anche al termine del conflitto” ha sottolineato la Fasano.
Partito per lavorare a un altro progetto su Bruno Schultz, Armano è venuto a conoscenza di questa storia incredibile, quella di un ucraino che aveva nascosto degli ebrei. Tra loro Bernard Mayer che era sopravvissuto. “L'ho cercato. Era una storia di comunità come quella del luogo in cui sono nato. Drohobycz era intatta anche se provata sia dalla guerra ma anche dalla presenza sovietici. Ormai erano già spariti sia gli ebrei che i polacchi. Mi sono trovato di fronte a un passato mitizzato, nel mezzo di un conflitto ma anche del tentativo di semplificare ancora questo mondo” ha detto Armano. Come ha evidenziato lo stesso autore, il libro è ricco di digressioni che vanno indietro nei secoli per spiegare l’arrivo degli ebrei nelle zone dell’est dalla valle del Reno. Scacciati, perseguitati, accusati, oggetto di odio. “La parola fondamentale è pogrom, termine russo che significa attacco e devastazione e indicava gli attacchi dell'impero zarista contro la presenza ebraica. Poteva accadere per diversi motivi ma era sempre causa di morte e distruzione. A Drohobycz lo sterminio inizia con un pogrom. In tutti territori occupati da nazisti nell’est Europa, venivano favoriti. Gli ebrei non avevano una patria e, per questo, potevano essere sospettati di essere dei traditori. La fine della guerra non mise fine a tutto questo. Essere sopravvissuti non venne considerato un pregio anzi, i superstiti vennero subito attaccati e accusati di connivenze con i sovietici. Tutto ciò determinò l’esodo verso Israele. L'antisemitismo, quindi, non era arrivato con il nazismo ma era già presente sul territorio. L’incontro con Bernard Mayer è stato come telefonare ad Ulisse dopo aver letto l'Odissea. Sono anche riuscito ad andarlo a trovare e mi sembrava di conoscerlo già bene con i suoi dolori. Il racconto per lui era molto doloroso e mi sono sentito colpevole e inadeguato nel farglielo rivivere. È una storia troppo grande con una dimensione enorme del male. Bernard, alla fine, mi ha detto di andarmene perché io non avrei mai capito cosa vuol dire essere cacciato come un topo o un essere immondo” ha detto Armano.
Un libro importantissimo – come ha sottolineato Nicoletta Fasano - perché, non mettendo al centro il sistema concentrazionario, racconta la vicenda ma, contemporaneamente, spiega la nascita dell’antisemitismo in questi territori fino ai giorni nostri… perché, prima ancora “di non dimenticare”, bisogna conoscere e comprendere.
Giovanna Cravanzola


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