IL SUICIDIO DI ISRAELE

Una straordinaria occasione di dialogo e confronto la videoconferenza per la presentazione del saggio “Il suicidio di Israele” (Laterza) di Anna Foa che ne ha discusso con Gabriele Segre. A introdurre Bruna Laudi, presidente del Gruppo di Studi Ebraici di Torino. L’incontro è stato promosso da Polo Cittattiva Astigiano Albese – I.C. S. Damiano, Museo Arti e Mestieri con Comune di Cisterna d’Asti, Israt, Gruppo di Studi Ebraici di Torino (GSE), Associazione “Franco Casetta”, Libreria "Il Pellicano" e Aimc di Asti.

Anna Foa ha insegnato Storia moderna all’Università di Roma La Sapienza. Si è occupata di storia della cultura nella prima età moderna, di storia della mentalità, di storia degli ebrei. Bruna Laudi è presidente del Gruppo di Studi Ebraici di Torino.

Gabriele Segre è direttore della Fondazione Vittorio Dan Segre, è esperto di temi di identità e convivenza. Specializzato in Politiche pubbliche e Leadership, ha studiato all’Università di Singapore, alla Columbia University di New York e all’Università Cattolica di Milano. Ha lavorato per anni per le Nazioni Unite occupandosi di temi di leadership e riforma dell’organizzazione. Collabora con diverse testate, tra cui La Stampa, Il Sole 24 Ore e tiene una rubrica settimanale su Domani. È l’autore di “La cultura della convivenza. Di cosa parliamo quando parliamo di politica” (2024).

In apertura, Bruna Laudi ha sottolineato come KEHILLAH ha trascorso mesi dolorosi anche presentando alcune piccole iniziative di dialogo al fine di lavorare per la pace.

Il libro di Anna Foa – ha detto – è stato come un fulmine caduto soprattutto per il titolo sul quale mi sono posta alcune domande. Molti, pur non avendolo letto, lo hanno criticato ma il titolo invita proprio chi è ostile a Israele a farlo proprio per la sua provocatorietà. Certamente pone delle critiche pesanti e spiega anche la storia – e non la narrazione – del sionismo. Molte sono le domande, soprattutto a Gabriele Segre su cosa ci sta succedendo, sul motivo per il quale è così difficile avere opinioni diverse non valorizzando la pluralità di idee mentre il mondo proPal è compatto e acritico…”.

Partendo da questi interrogativi di cui non ha risposta, Gabriele Segre ha sottolineato l’importanza di un dialogo aperto nel quale far entrare a pieno diritto tutte le domande: “Il titolo del saggio non è una domanda retorica ma profonda e mi ha fatto pensare a quello di Francesco Filippi “Mussolini ha fatto anche cose buone” di Bollati Boringheri. Anna è una storica rigorosa e racconta la storia reale di Israele. Il libro parte dalla considerazione che la storia è fatta da narrazioni che, spesso, sono in contrasto e descrive questo in modo chiaro e immediato. Io non sono uno storico ma uno scienziato politico e mi pongo la domanda di ciò che è necessario fare adesso e non solo la comprensione e la consapevolezza del presente. Oggi, invece, non stiamo ragionando di questo”.

L’intervento di Anna Foa è partito dalla consapevolezza di ciò che si può e si deve fare ma anche non fare.

Innanzittutto – ha sottolineato Anna Foa – io credo che si debba parlare perché non dobbiamo stare più zitti. Dobbiamo dire che cosa ha fatto Israele e non solo quello che ha fatto Hamas. Oggi Israele sceglie di non parlare e mostra la sua solitudine rispetto al resto del mondo. Per questo ho scelto il titolo, per sottolineare anche quelli che sono stati i prodromi di quanto accaduto. Io credo che, però, ci siano degli spazi come l’Onu, l’Ue e anche che Israele debba essere aiutata psicologicamente. Però, se non si uniscono i commenti interni ed esterni, non si raggiungerà mai alcuno scopo. C’è poi anche la diaspora potrebbe avere una funzione importante ma, purtroppo, non è il caso di quella europea perché sembra solo occuparsi di antisemitismo ma non di ciò che sta succedendo a Gaza. Bisogna poi spiegare a chi sostiene la Palestina che sono successe tante altre cose per arrivare all’oggi. Io credo che sia possibile parlare con la maggior parte di chi agita questa bandiera nella convinzione di stare dalla parte dei più deboli e lo capisco anche se spesso sono deviati da parole sbagliate. Con questo libro ho cercato di insegnare a chi non sa”.

Una critica radicale a quella che ha definito “devianza di Israele” è giunta anche da Segre che ha concordato sulla diaspora ma anche sottolineato la necessità di comprendere, pur non condividendole, le ragioni dello spaesamento delle comunità ebraiche.

In ogni caso, non parlare va anche contro gli interessi degli ebrei italiani. Non chiedo di parlare male di Israele ma serve uno spazio di conversazione plurale su quello che avviene. Parliamo di queste cose dietro a istituzioni ebraiche dentro alle quali è difficile farlo eppure, dopo un anno di guerra aperta, sarebbe ora di offrire questa possibilità. Il tuo libro è coraggio. Oggi non siamo di fronte al generale pazzo che ha preso un popolo illuminato. Non è così. Alcuni vogliono creare società priva di pericoli ed è difficile capire da lontano. Israele non riuscirà a fermare il conflitto se non otterrà garanzie di sicurezza. Non basta chiedere di fermarsi. I colpevoli li cercherà la storia ma bisogna dare una buona ragione per fermarsi e silenziare le voci estreme al suo interno” ha proseguito Segre.

Secondo Anna Foa, la presenza di ostaggi non basta per autorizzare omicidi di guerra. Certamente in Israele c’è un’opposizione tormentata dal trauma del 7 ottobre ma è difficile che la stessa situazione possa accadere in questa guerra.

Ho cercato di far parlare per l’opinione pubblica. Non si può più tornare allo status quo eppure si deve arrivare ad una pacificazione, cosa difficile ma non vedo un’altra soluzione” ha detto la Foa.

La scrittrice Sarah Mustafà – che ha vissuto infanzia e adolescenza in un campo profughi palestinese in Giordania, ha sottolineato l’importanza di parlare di questi aspetti. “Lo dico anche all’altra parte dove è molto difficile fare autocritica e ascoltare il dolore altrui. Qui si fa autocritica e si sente quel dolore e fare autocritica non è scontato come riportare alla luce che la storia è molteplice e dipende dalla narrazione. Solo così si può dare speranza” ha detto. 

Come ha sottolineato Segre, esistono tante relazioni umane tra isreliani e palestinesi ma il muro ha separato i destini dei popoli e non permette di capire le loro ragioni. “Come Quirico – ha proseguito – penso che Israele avrebbe dovuto ribaltare il tavolo e fare cose di cui non ti aspetti. Certo, in un mondo ideale, sarebbe stato ottimo dimostrarsi più moderati e non bellicisti. Forse non avrebbe funzionato ma non funziona neppure il radicalismo. Purtroppo, come Europa, oggi abbiamo armi spuntate. Però bisogna andare al di là delle ragioni per trovare una via d’uscita e la speranza di pace va costruita”.

Numerosi e attenti gli interventi dei partecipanti che hanno arricchito la discussione.

Nei momenti in cui vedo il buio e sono senza speranza, mi viene in mente che sono nata nel 1950 e a casa non si poteva comprare neppure un fazzoletto tedesco per il tributo di morti della mia famiglia. Eppure non è stato così per sempre come pensavo. La pace e la guerra non sono per sempre” ha aggiunto Bruna Laudi.

Tante voci diverse si sono confrontate e questo era lo scopo dell’incontro.

Vado a dormire con una speranza in più” ha detto Anna Foa.

Da Cisterna d’Asti una speranza di pace.

 

Giovanna Cravanzola


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