"Intelligenza artificiale e/o artificio dell’intelligenza? La sfida dell’ IA tra rischi e opportunità" è il titolo dell’interessante videoconferenza con don Luca Peyron e Alberto Banaudi del 4 aprile 2024. L’iniziativa è stata organizzata da Polo Citt. Astigiano Albese – I.C. S. Damiano, Castello, Parrocchie e Comune di Cisterna d’ Asti con Fra Spa, Lib. "Il Pellicano" e Aimc Asti.
Luca Peyron è sacerdote della Diocesi di Torino. Cerca i segni dei tempi che aiutino a ricucire lo strappo tra fede e scienza, tecnica ed esperienza di Cristo. Ha fondato e coordina il Servizio per l’apostolato digitale - uno dei primi a livello globale della Chiesa cattolica - con il compito di riflettere, progettare e agire rispetto alla cultura digitale in una prospettiva di fede. Insegna teologia in diversi atenei italiani. Il suo ultimo saggio è “Cieli sereni. Trovare Cristo seguendo le stelle (e con l'uso di un telescopio)” (Ed. San Paolo).
Alberto Banaudi è laureato in Lettere Classiche presso l’Università di Torino e quella in Filosofia presso l’Università di Genova. È professore di storia e filosofia al liceo scientifico “F. Vercelli” di Asti e di letterature classiche all’Utea. Oltre ad insegnare, si dedica alla ricerca filosofica. Un bel dialogo, ricco di senso e di spunti di riflessione, su un tema attorno al quale, occorre capire e provare per poter poi scegliere.
“È una tecnologia che amplifica le capacità ma anche l’ignoranza umana. C’è chi la usa per sembrare più intelligente ma chi non sa non saprà di più anche se, forse, qualcuno se ne servirà per fingere meglio di sapere” ha detto don Peyron.
Come ha sottolineato Banaudi, tutto ciò ci mette di fronte alla necessità di sapere. Per certi heideggeriani, la tecnica ormai sarà il fine di tutto. In realtà, dovremmo sforzarci di capire perché, se l’ IA può risolvere i problemi, ma l'intelligenza umana li pone.
“Le IA ci stanno travolgendo con una velocità alla quale non eravamo preparati. Parlarne consente di avere attenzione maggiore. Però non deve essere chi le spaccia a decidere il destino del mondo. Questa rivoluzione sta agendo su una società ancora antica ma è anche la grande occasione per riformarla e ripensarla nel suo complesso. È la possibilità per essere generativi e farci delle domande. La macchina sarà sempre più competitiva di noi rispetto alle operazioni complesse, macroscopiche ma il pensiero verticale ci rende protagonisti, la creatività. Occorre lavorare sul pensiero perché è ciò che serve. È una tecnologia generale nel senso che ha un raggio d’azione in qualsiasi ambito della vita cambiandola in modo significativo. È entrata velocemente nella società e tutti i mondi si sono adeguati a queste tecnologie modificando quelle vecchie e tentando di tenerle insieme a quelle nuove. Un cambiamento, ad esempio, è avvenuto con ChatGp, nel mondo della didattica in soli cinque mesi. Gli universitari la utilizzano anche per avere delle ripetizioni degli argomenti di studio e questo è utile perché la macchina accompagna nell’apprendimento. Però non siamo preparati per una rivoluzione che viaggia a questa velocità e, non sapendola gestire, si invocano delle norme per regolarla però non rendono capaci le persone di usare l’ IA. Le regole e l’etica danno alcuni parametri che dovrebbero impedire a questi sistemi di travalicare certi confini che riteniamo dannosi. Tutto ciò è fattibile ma non risolve il problema. Finchè il cittadino non sa cos’è esercitando un diritto di critica, chi produce queste tecnologie invade il mercato e fa cosa vuole. Ogni decisore politico non riesce a cambiare questo” ha proseguito don Peyron.
L’unico modo è cercare di stare avanti ed è possibile solo se la società riflette non su cosa fare sull’ IA ma su che mondo vogliamo domani ritornando a massimi sistemi. L’algoretica è un modo per tornare a grandi domande del passato che questi cambiamenti ci chiedono di rifare. A tutti viene chiesto di fare una profezia per chiedere alla macchina di creare quel mondo. Purtroppo, negli ultimi 30 anni, non abbiamo pensato alla società ma l’abbiamo subita. Oggi occorre essere consapevoli che c'è una rivoluzione tecnologica che agisce su una società che è ancora antica-Per questo motivo è necessario riformare la società nel suo complesso. La nostra scuola, ad esempio, è vecchissima perché addestra ma, in questi campi, l’ IA è più capace e ci batterà. Il mondo dell’istruzione è dell’educazione, invece, dovrebbe muoversi diversamente ma come la vogliamo? E che economia pensiamo sia utile per l’uomo?
Per molti versi, l’ IA è una grandissima opportunità perché ci permette di essere generativi rispetto al passato e questo ci impone di costruire il mondo di domani.
“Gli insegnanti – ha detto Banaudi - vivono la sensazione della grande sostituzione. Gli studenti rispondono a domande preconfezionate e, spesso, danno la sensazione di essere demotivati. Siamo ormai superati. È un gap tra quello che la scuola fa e quello che dovrebbe fare. Il pensiero come dovrebbe essere proposto? Quello verticale o altri molto più utili che ci renderebbero protagonisti?”.
Come ha ribadito don Peyron, l’IA sa fare velocemente operazioni complesse e macroscopiche, che abbracciano molti scenari e dati impossibili per l’uomo. Però non ha pensiero e senso comune. Inoltre non diverge mai rispetto a quello che è stato già fatto perché va per statistica. Non ha la capacità di pensare, di generare pensiero. Il futuro sarà vedere quello che la macchina non saprà vedere - per farlo occorre senso comune - e mettere insieme pezzi che non sanno stare insieme. L'università, com'era concepito all'inizio, sarebbe utile. Allora sapeva collegare diversi pensieri insieme alla meraviglia di punti di vista differenti. Bisognerebbe riscoprire la capacità generativa del pensiero umano e non il fordismo perché l’unico modo di stare in un mondo di macchine è provare a divergere lasciando la ripetizione alla macchina e il resto all'uomo.
La macchina è un po' ripetitiva come una scimmia ma l'uomo sa andare oltre. Oggi ci servono persone che pensano e non gente che clona pensiero. Occorre promuovere la capacità del pensiero umano di stupirci per recuperare sulla macchina ma anche su tanta gente che ormai è assuefatta dalla vita. Questa attitudine a vedere novità uscendo semplicemente dalla porta, è un aspetto vincente e potrebbe creare alleanze con la macchina. La scuola attuale, invece, nasce quasi in modo fordista ma non funziona in questo sistema e uscirne è difficile. Oggi quella modalità di esercizio dell'umano è la ragione per cui abbiamo costruito macchine, fare meno fatica e, dopo il covid, si vede grande differenza ma alcuni giovani preferiscono la comodità e non la sfida. La pandemia ha annichilito tutto in una dimensione digitale e non analogica ma occorre recuperare perché l’ essere umano, per essere se stesso, deve faticare perché è utile, restituisce dignità ed è positivo.
Il paradosso è che la macchina, per fare una cosa che richiede energia umana, ne spende molta di più e anche per questo dobbiamo chiederci come usarla. È talentuoso chi spende poca energia per fare qualcosa di complesso. La fatica è la nostra dignità più che il risultato. Non dobbiamo entrare in competizione con la macchina perché è più brava di noi.
“Secondo Deleuze, il pensiero sa fare l'idiota – ha detto Banaudi - cioè assumere un aspetto così particolare che sa evadere dalla norma, uscire e fare scarti. Occorre, per questo motivo, uscire dal pensiero fordista e ricostituire la nostra vita perché il nostro mondo è basato sull'idolo della competizione della performance mentre la scuola dovrebbe promuovere altri vecchi saperi.”
Secondo Peyron, l’idolo nasce per tre ragioni: “Il vitello d'oro è stato fatto sciogliendo gli orecchini delle donne e, in ebraico, orecchio significa sentire. Nella Bibbia, il vitello d'oro è l’esito della decisione di smettere di ascoltare. Mi prostro di fronte ad un idolo smettendo di ascoltare e non mi accorgo che l'idolo, a differenza di Dio, è muto, non è un tu, non ha relazione. IA parla, è un oggetto che ti risponde e lo fa facendoti sentire bello, intelligente e ascoltato. Questa idolatria supera l'idolo vecchio perché gli abbiamo trasmesso le nostre funzioni. Bisogna abbattere non l’idolatria ma il pensiero magico che riscrive a macchina capacità umane. Crediamo che sia autonoma e che non abbia a che fare con noi. La crediamo razzista ma una macchina non può esserlo. Se lo è vuol dire che ha mangiato esiti razzisti ma, di per sé, la macchina è sabbia, silicio e dobbiamo saperlo. Dobbiamo sapere che la macchina funziona mentre io vivo. Produce connessioni ma io relazioni. Questo ci permette di non diventare macchine che assolvono funzioni a loro ascritte. Questo, però, parte da un pensiero magico che vuol farci credere che la macchina sia in grado di fare tutto. È solo un oggetto, costruito da qualcuno nativamente orientato a farlo ma è l’ essere umano a monte che ha fatto tutto e la macchina non ha nulla a che fare con noi che siamo altro.”
Probabilmente, come ha sottolineato Banaudi, bisognerebbe avere un po' più di poesia. A volte, invece, proponiamo domande proprie della macchina con il rischio che la scuola recepisca questo rendendoci perdenti in partenza.
“Parlando di nuove generazioni – ha detto don Peyron - i ragazzi della pastorale universitaria hanno una grande sensibilità. Sono empatici e stanno nelle cose meglio dei loro coetanei degli anni '80. Sono una bellissima generazione, migliore degli adulti che li hanno generati essendo sensibili ma fragili: devono essere accompagnati. Sono intelligenti e hanno capito che ci sono cose da fare che non avevamo ancora fatto. Sono un po' ingenui e, a volte, per questo motivo hanno mancanza di attenzioni su certe cose. Per questo motivo bisogna costruire un'alleanza con queste generazioni. Per la prima volta non possiamo garantire loro un futuro migliore. Non dobbiamo stare in cattedra ma costruire un futuro a prova di umano. Avevo candidato Torino come centro per l’ IA ma, per ora, non c’è nulla. Purtroppo. L’Italia e l’Europa, in questo senso, valgono poco o niente. La Cina, al contrario, investe cifre ingentissime. Chi possiede i dati, ha in mano il potere e sono pochissimi. Per fare girare tutto ciò, servono macchine costose ed energivore. Quando arriverà un pc quantistico si farà un salto di qualità ma, probabilmente, l’Italia non è certo riesca a garantirsene uno visti i costi. I sensori costano molto meno e sono performanti. Il futuro sarà fatto da dati, dati, dati … e altre macchine capaci di generare dati. L’Italia, da sola, non può rispondere a questa sfida. Forse potrebbe riuscirci l’Europa perché su certi temi bisognerebbe ragionare come pianeta e globalità.”
Sollecitato da Banaudi, don Peyron ha parlato della missione Spei Satelles (custode di speranza), la missione spaziale che ha lanciato un satellite con il messaggio di pace di Papa Francesco, un segno di speranza per l’umanità. L’iniziativa si è resa possibile grazie alla collaborazione tra Agenzia Spaziale Italiana, Consiglio Nazionale delle Ricerche, del Dicastero per la Comunicazione del Politecnico di Torino.
“L’idea – ha detto don Peyron – era quello di riflettere su un messaggio molto semplice: può essere la pandemia un momento per ricominciare a sperare il futuro con il futuro per il futuro? La risposta della missione è sì a patto che la tecnologia sia motore di speranza per tutti, tra generazioni diverse e se, al suo interno, custodisce senso e significato. Dentro al satellite c'è un libro scritto da Papa Francesco durante il covid, ridotto alle dimensioni della capocchia di uno spillo. Si può registrare sul sito, c’è una carta d’imbarco… il tuo nome scritto nel cielo affinché ognuno si impegni a fare un buon lavoro sulla terra. Per me le stelle, lo spazio, sono una fonte di stupore ancora capaci di funzionare e la meraviglia del cielo è mediata da strumenti tecnologici. La tecnologia è buona se permette di coltivare meraviglia e fa scoprire e coltivare, al tempo stesso, qualcosa di me stesso. Non c’è bisogno di un telescopio per credere in Dio ma sono convinto che il Creato ci faccia sentire creati per amore.”
Il prof. Banaudi ha sottolineato come il pensiero possa nascere solo in un essere incarnato capace anche di porre nuove domande. Su questo tema occorrerebbe concentrarsi ma, soprattutto, potenziare l’umano, un animale creativo, narrante e di senso.
Giovanna Cravanzola