Abitare i luoghi significa viverli ma, per farlo, occorre conoscerli non solo per come li vediamo oggi ma per quello che sono stati, per i sorrisi e le lacrime che li hanno attraversati. Allora, per parlare anche di guerra e Resistenza, occorre tenere conto di tutto ciò per accorgersi che, ancora oggi, le case, gli oggetti quotidiani, ci parlano di ciò che è stato e dell’umanità che vi ha vissuto. Antonella Tarpino parla proprio di questo nel suo saggio "Memoranda. Gli antifascisti raccontati dal loro quotidiano” (Einaudi). Ne ha discusso con Mario Renosio, in videoconferenza, venerdì 19 aprile 2024, in occasione del 79° Anniversario della Festa della
Liberazione. L’incontro è stato organizzato da Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I.C. di San Damiano, Museo Arti e Mestieri di un Tempo e Comune di Cisterna con Fra Production Spa, Israt, Associazione “Franco Casetta”, Libreria "Il Pellicano" e Aimc di Asti.
Come ha detto Renosio, il lavoro di Antonella Tarpino si basa su memoria e storia. Il suo impegno è quello di fare storia alla fine dei testimoni ma la sua proposta si estende anche ai luoghi fisici. Si parte da una città martire francese ed è un modo diverso di raccontare un evento storico.
“Sono partita – ha detto Tarpino - dalla riflessione sulla memoria pubblica, quella su cui mi sono formata, alla fine degli anni ‘90. Nel corso del tempo, si è quasi polverizzata non solo per la fine dei testimoni ma anche per la difficoltà di comunicare la memoria ai giovani. Come recuperare? La memoria è di tutti e il problema della sua caduta rappresenta la fine del ‘900 ma anche delle tragedie e dei valori. Oradur interroga l’umano. È un paese distrutto dove, nel dopoguerra si riporta la vita ma in forma di rovina. Questo mi ha condizionato perché tutto ciò ha alle spalle una scelta straordinaria dal punto di vista della memoria. È una memoria che parla, anche a noi che non l'abbiamo vissuta, attraverso oggetti della quotidianità come il passeggino bruciato che è ancora nella chiesa. Vedere un simbolo della vita trasformato in uno della morte, mi ha portato a considerare come questa memoria ci interroghi senza mezze misure, attraverso un quotidiano che ci racconta la nostra esperienza. Quello che conosci diventa distruzione. Un altro esempio è l’operazione Memo 4345 a Borgo San Dalmazzo (Cn) dove i treni esposti ricordano la deportazione degli ebrei. I nuovi testimoni sono questi oggetti che ci parlano di memoria terribile. Come ci attraversa questo racconto? Non è tradizionale perché non legato da un filo cronologico. Non è fatto dalle date ma dalle immagini forti che ci spingono e ci obbligano a sentirci coinvolti e a prendere posizione. La resistenza esistenziale dei giovani di allora, non ancora politicizzati, attrae ancora quelli di oggi perché la comprendono.”
Un altro luogo è il liceo “M. D’Azeglio” a Torino a cui Tarpino è arrivata trovando oggetti simbolici come i banchi, la scrivania di Gobetti… che raccontano, attraverso immagini, il mondo straordinario di una scuola dove si è creato l’antifascismo che ha influenzato la cultura italiana. Attraverso lo studio, questi ragazzi sentivano il peso dell'oppressione. Ginsburg ed Einaudi, nel 1933, fondano una casa editrice. Giancarlo Pajetta, compagno di classe di questi ragazzi e figlio di un avvocato comunista, aveva cercato di fare comprendere quello che stava succedendo prestando romanzi ad amici, girando volantini. Purtroppo viene preso di mira dal preside e cacciato da tutti i regi licei. Pajetta stesso lo racconta nei suoi libri. Questo ci dimostra che la storia ha ritmi diversi. Un giovane Pajetta lo capisce molto prima di molti altri che lo comprendono molto dopo. Molti di loro, più tardi, sconteranno con morte e prigione la dittatura ma, in quel momento, non seppero essere solidali con il loro compagno proprio perché non avevano capito. Forse il motivo può anche essere stato che Pajetta era un borghese ma abitava in borgo San Paolo mentre gli altri alla Crocetta. C’è anche una geografia dell’antifascismo che Tarpino ha voluto pubblicare attraverso la mappa delle case dei giovani che costruirono l’antifascismo.
Tra questi luoghi torinesi, come ha sottolineato Renosio, spicca casa Gobetti che, per anni, è stata sede dell’Istituto Storico per la Storia della Resistenza di Torino (Istoreto). Conserva oggetti che sono di stimolo dell’approfondimento della ricerca che non deve fermarsi all’emozione. C’è il terribile telegramma, recapitato dal prefetto di Torino, in cui si diceva che era necessario rendere la vita difficile a Gobetti. Tutto ciò ci obbliga a implicarci. Il diario di Ada Gobetti è più di un documento storico (che ci permette di costruire il contesto) perchè ci obbliga a riflettere e ci interroga. Però ci sono anche altre visioni che fanno pensare che i luoghi sono contenitori di memoria capaci, ad esempio, di far capire a un giovane che come il fascismo abbia impedito di utilizzare la quotidianità. Per questo motivo, leggendo questi oggetti di vita attraverso questi sguardi, si viene accesi.
Un altro luogo è Boves dove ci fu la prima strage nazista in Italia e replicata. In piazza Italia sono conservate le lapidi ma, a differenza di Oradur, qui occorre immaginare.
“Per me è stata un’emozione presentare il libro al consiglio comunale di Boves a settembre. Poter riportare a loro queste storie, è il senso che la memoria deve dare ai luoghi. Da questo punto di vista, il Piemonte è unico perchè c'è la geografia di luoghi che ricordano quella scelta quasi come avessimo fatto l'Italia due volte. Il senso di quelle scelte si respira in casa Gobetti, Galimberti, nelle piazze dove ci furono eccidi. A Boves è più complicato perchè si scelse di ricostruire subito il paese però la memoria del paese l'ho vissuta attraverso i quadri di pittrice Adriana Filippi a cui è dedicato un museo che porta il suo nome. Era una maestra torinese sfollata in paese e che ha saputo entrare nella vita quotidiana del paese. Dopo la strage, vedendo come le bambine non riuscissero a camminare con le scarpe rotte e sentendo l’ansia dopo questi tragici eventi, fece amicizia con i componenti della Banda Vian. Così, con la madre, decide di dividere con loro la casa nella quale vivevano. Vengono fuori dei quadri straordinari dove riesce a raccontare la quotidianità della Resistenza attraverso gli oggetti. Attraverso oggetti che fanno ancora parte della nostra vita, ritroviamo il filo della memoria. La scelta di Boves di intitolarle una spelndida galleria di quadri è straordinaria perchè racconta un storia in cui anche noi riusciamo a entrare” ha detto Tarpino.
Nel 2008 si decide di riportare in vita la borgata Paralup dove Dante Livio Bianco diede vita alla prima banda partigiana e dove arrivò anche Nuto Revelli. Qui convive una doppia memoria di cose e persone. Casa Revelli e collegata a tutto ciò.
“Quelle case ci raccontano le memorie. Abbiamo scoperto la pietra, dono di Primo Levi, che ci rende consapevoli del non detto, del dolore. Lo stesso Nuto, al ritorno, diceva che o avrebbe dimenticato tutto o ricordato tutto. Dimenticare ci fa rischiare di entrare in un mondo che non è più il nostro” ha proseguito Tarpino.
Come ha auspicato Renosio, sarebbe bello che fosse il 25 aprile tutti i giorni sottolineando che nel saggio sono dedicate pagine a donne partigiane spesso chiamate riduttivamente staffette.
“Un termine che sembrerebbe indicare solo porta ordini che non rischiavano nulla. In realtà – ha ribadito l’autrice – solo alcune erano armate ma tutte combattevano contro rischi enormi. Margherita Scamuzzi combattè a Paralup eppure neppure i partigiani la ricordavano. Di sicuro ho voluto approcciarmi attraverso un oggetto simbolo che è la bicicletta. Se le armi erano corredo partigiano, la bicicletta era molto pericolosa perché poteva determinare la cattura. La storia delle partigiane e delle bici me l’ha comunicata Ida Guidetti Serra che con Ada Gobetti creò i Gruppi di difesa della donna. Fecero la loro scelta quotidiana e furono tantissime le donne a partecipare, con modalità diverse, alla Resistenza. Per le donne, fu un primo grande segno di scelta delle libertà: per la prima volta, queste giovani si allontanavano dalla famiglia ma, purtroppo, nel dopoguerra questo mondo si è richiuso.”
Fare memoria è un impegno etico di cittadinanza ma, come ha sottolineato l’autrice, è sempre più contendibile e la cosa spaventa. Il Progetto Memoranda, in parte già attivo, nasce dall’idea di mettere in rete, sia fisica che virtuale, i luoghi quotidiani per ricordare.
Le case partigiane e tanti altri luoghi partigiani, rendono contro della memoria del nostro antifascismo in stretto collegamento ai protagonisti e agli abitanti dando un senso anche ai luoghi pure per chi ci abita oggi. Tutto ciò costruisce legami con i territori ma anche un turismo civile.
Giovanna Cravanzola