“... Mentre noi stiamo a guardare… “ il mondo è sull’orlo del non ritorno ma in pochi si accorgono di quanto sta accadendo. Ne hanno discusso mercoledì 25 settembre alle 18 al Castello di Cisterna, Domenico Quirico e Gabriele Segre in un dialogo mai scontato e profondo, punti di vista diversi capaci di ascolto e confronto. Domenico Quirico è giornalista de "La Stampa", corrispondente e reporter di guerra in Paesi come il Sudan, il Darfur, l’Uganda, la Tunisia e l’Egitto, si è occupato tra l’altro delle Primavere Arabe. Nel 2011 è stato rapito in Libia e liberato dopo due giorni e nel 2013 in Siria per cinque mesi. Tra i suoi
numerosi libri: Primavera araba. Le rivoluzioni dall'altra parte del mare (2011), Gli ultimi. La magnifica storia dei vinti (2013), Il paese del male. 152 giorni in ostaggio in Siria (2013), Il grande califfato (2015), Esodo. Storia del nuovo millennio (2016), entrambi nel 2017 Ombre dal fondo e Succede ad Aleppo, Che cos'è la guerra. Il racconto di chi l'ha vista in prima persona (2019), Testimoni del nulla (2020), Il pascià. L'avventurosa vita di Romolo Gessi, esploratore” (2021), “Guerra totale: la bancarotta bellicista”(2022), “Quando il cielo non fa più paura” (2023), “Kalashnikov: Dal Vietnam a Gaza, in un'arma la storia del secolo crudele” (2024). Gabriele Segre è direttore della Fondazione Vittorio Dan Segre, è esperto di temi di identità e convivenza. Specializzato in Politiche pubbliche e Leadership, ha studiato all’Università di Singapore, alla Columbia University di New York e all’Università Cattolica di Milano. Ha lavorato per anni per le Nazioni Unite occupandosi di temi di leadership e riforma dell’organizzazione. Collabora con diverse testate, tra cui La Stampa, Il Sole 24 Ore e tiene una rubrica settimanale su Domani. È l’autore di “La cultura della convivenza. Di cosa parliamo quando parliamo di politica” (2024).
Il tema dell’identità è stato il punto di partenza per la discussione. Per Segre, che ha sottolineato la grande amicizia che lo lega a Quirico, sarebbe necessario smettere di parlare di identità per parlare di questioni serie, come sostiene Remotti. “Come scienziato politico, per me parlare di identità significa incontrare le persone nel dialogo. Dal punto di vista politico, le identità esistono ed è per questo che occorre provare a interpretare questo tema. Per quanto mi riguarda, sono molteplici, dinamiche e performative” ha detto Segre. Per questo occorrerebbe considerare le identità da tutti questi punti di vista per comprenderle e, soprattutto, smettere di parlare dell’io per approdare al noi. Quirico ha concordato con questa definizione e, dal suo punto di vista, Putin con l’attacco all’Ucraina ci ha chiesto quale fosse la nostra identità perché non è più evidente. Anzi, oggi probabilmente è convinto, con il suo attacco, di averci spronato a ricostruirla. “Il 24 febbraio 2022, ha segnato la fine di un sistema sepolto che si era convinto che la sua identità si basasse sulla globalizzazione dove tutti sembravano inclusi quando lo erano solo i più ricchi” ha proseguito Quirico. Secondo Segre, Israele è identità e comunità per Putin. Invece per gli Usa e l’Europa la comunità è un costrutto di tipo culturale, un progetto al quale si decide di aderire a prescindere dalla propria provenienza. Oggi, però, di fronte a ciò che sta accadendo, di fronte a una comunità come identità, c’è ancora spazio per una comunità fondata su un progetto comune che ricrei identità o è tutto un fallimento? “Una comunità di progetto si può basare sulla rivoluzione e, in alcuni luoghi, ciò è possibile. In Europa, però, mancano i rivoluzionari” ha detto Quirico. La guerra può essere la miccia per innescare un progetto rivoluzionario che svegli ci dal sonno? Qualcosa che cambi completamente e alla radice il mondo che conosciamo perché non basta fermare una guerra se non si modificano le condizioni che l’hanno provocata e le chiacchiere non bastano. Siamo pronti a questo? Come ha fatto notare Segre la rivoluzione ha bisogno di gioventù ma nei Paesi occidentali scarseggia. In realtà siamo in grado di scendere in piazza ma, fondamentalmente, per timore che qualcosa cambi. All’ Assemblea dell’ Onu proprio i Paesi che non vogliono che cambi nulla, sostengono la necessità di cambiare il mondo attraverso la creazione di un nuovo sistema. I giovani – ha sottolineato Quirico – sono capaci di indignazione ma la dovrebbero rivolgere ad una rivoluzione complessiva ma cosa fare se ciò non accade? Purtroppo oggi le relazioni nel mondo sono basate sulla legge del più forte e dobbiamo prenderne atto. Putin ha questa consapevolezza pur agendo per puro interesse personale. Obiettivamente – come ha detto Segre – tutto ciò dà una forte ansia perché si sono create tante organizzazioni internazionali per cercare di garantire il diritto internazionale, basandoci sull’etica ma quando non vengono applicate dalla controparte rimaniamo basiti, spettatori anche di noi stessi. Fin tanto che ci siamo sentiti protetti dallo scudo americano, condividendone gli interessi, tutto funzionava. Le cose sono cambiate, gli Usa non hanno più la forza del passato e noi siamo incapaci di reagire perché ogni azione potrebbe rivelarsi violenta e non la accettiamo. Ci rimangono le chiacchiere. “Mi avevi detto – ha proseguito Segre – che il mondo si divide tra chi conosce la violenza e chi no. Oggi affermi che chi non la conosce non è più bravo. È solo rimasto sospeso in un mondo che non esiste. Questo è estremamente doloroso perché dobbiamo accettare che la violenza fa parte della nostra vita ma abbiamo la forza per combattere?”.
“Sono le circostanze che ci fanno scegliere – ha risposto Quirico – e se ci trovassimo in una situazione estrema sapremmo cosa fare? Oggi il mondo occidentale deve rispondere perché non può più fare in modo che siano gli altri a fare le guerre al posto nostro. E forse questo momento è arrivato. Io credo che in questo pandemonio possa nascere qualcosa di interessante che può battere imperialismi e integralismi e, magari, si aprirà qualche spiraglio. La guerra è una tabula rasa su cui ricostruire. In questa i politici non contano nulla”.
“Intanto, mentre noi stiamo a guardare – e prima dovremmo farlo dentro noi stessi – non facciamo niente ed è proprio contro questo che Quirico si scaglia perché, mentre gli altri sono pronti ad andare fino in fondo, noi non lo siamo e se dovessimo portare a fondo la nostra visione, forse, dovremmo arrenderci. Forse sarebbe questa la rivoluzione, aiutando chi quel disastro lo sta vivendo” ha aggiunto Segre.
Putin non è la rivoluzione, verrà spazzato via ma, in questo momento, è la miccia che ci ha messo di fronte alla nostra debolezza. Oggi vediamo avvicinarsi una violenza che non conoscevamo ma nella quale tanti hanno vissuto e che Quirico ha attraversato per lavoro.
“Dobbiamo dare una risposta a chi è morto in queste guerre. Per chi? Per cosa? Quale è stato il senso?” ha detto Quirico ma non abbiamo una risposta.
Giovanna Cravanzola