Quel che sta veramente succedendo in Afghanistan

L’Afghanistan? L’Occidente non sa neanche di cosa si stia parlando. Gli Stati uniti? Trionfi di orgoglio con i loro armamenti all’avanguardia e se ne sono andati con la coda tra le gambe perché non hanno capito che nessuna potenza straniera è mai riuscita a piegare il popolo afghano sul loro territorio. I talebani? Dominavano già sul 70 percento del territorio mentre si diceva che tutto era controllato dalle forze occidentali: invece dominavano su qualche grande città e basta. Violenze inaudite? E’ da quando sono piccolo che vedo violenze inaudite in nome della legge islamica. Corano

violento? Lo dicono quelli che non l’hanno mai letto, anche perché è in arabo e a noi lo fanno studiare a memoria in arabo, ma quando lo leggi nella tua lingua vedi che le cose sono molto diverse. Il dominio russo? Era meglio di quello degli Stati Uniti, anche se sempre di dominio si trattava, ma almeno c’era un tentativo di far rispettare delle leggi e di farlo su tutto il territorio.

Insomma, la serata a San Damiano con l’ex capitano dell’esercito afghano Farhad Bitani ha rivoltato come un calzino tutta l’informazione che in questi mesi (ma anche in questi anni) abbiamo ricevuto sulla situazione in Afghanistan. E il problema dell’informazione è veramente il nodo della questione: la gran parte dei giornalisti parla di Afghanistan senza esserci mai stata e vomita sui giornali un fiume di luoghi comuni e di notizie filtrate dalle potenze occidentali. Ma chi è lui per dire questo? Beh, il suo curriculum la dice lunga: prima mujaeddin di famiglia, cresciuto nell’odio verso la potenza russa e in nome della purezza islamica. Poi in epoca talebana, dapprima sperimenta la povertà, poi la fuga in Iran e la bella vita di quegli anni (dal 1999 al 2003) per poi tornare a Kabul insieme alle forze occidentali. Quindi gli studi all’Accademia militare di Modena e alla Scuola di Applicazione di Torino, mentre è addetto militare all’ambasciata afghana in Italia. Tornato in Afghanistan per un periodo, subisce un attentato e da allora comincia a ripensare alla propria esistenza. Ecco: la serata di lunedì è stata a cavallo tra l’informazione e aggiornamento e la testimonianza di vita che ruota intorno all’immagine del “punto bianco nel cuore dell’uomo”: l’insegnamento della madre, che resta un paletto fisso in mezzo a tanta violenza e odio. Questo gli permette di apprezzare anche i gesti di umanità nei confronti dei cosiddetti “infedeli”: scopre che al di là delle differenze religiose e culturali esistono dei gesti primordiali di umanità, di maternità, di relazione che possono costruire una realtà diversa. Di lì parte la ricostruzione della sua identità del suo futuro: da militare a educatore, da testimone di odio a testimone della possibilità di dialogo, da rifugiato politico a scrittore.

L’ultimo atto è la creazione del Gaf (Global Afghan Forum) per una ricostruzione dell’Afghanistan a partire dalla cultura e dall’educazione.

Ciò che ha colpito nel suo intervento e nel dibattito successivo è la lucidità con cui ha concepito la sua missione. Nessun idealismo o buonismo, perché il popolo afghano è stato troppo ferito dalla violenza degli ultimi decenni: non solo la guerra e la resistenza, ma anche le punizioni corporali dei talebani che allo stadio procedevano con le esecuzioni efferate per poi appendere in giro teste e mani come mònito. Molto realismo senza essere cinici per denunciare la miopia dell’Occidente e la falsa coscienza degli Stati Uniti, veri “nemici” della verità e della pace. Ma anche molta speranza nella forza interiore degli esseri umani che hanno la possibilità di resistere ad ogni tragedia e di trasformarla in occasione di crescita e di riscatto. Il pubblico ha rivolto molte domande e di ogni genere. Anche il moderatore Gianluca Galantina ha fatto la sua parte, riportando sempre il discorso più sulla testimonianza di vita che sulla cronaca. Ma dalle domande emergeva un senso di incredulità per un mondo che finalmente si mostrava per quello che era in realtà. Presenti diversi docenti che hanno posto il problema delle giovani generazioni e del ruolo della donna. Qui Farhad Bitani ha strappato l’applauso: i talebani hanno paura delle donne perché loro hanno gli strumenti per entrare nel cuore delle persone e abbattere i muri di divisione e di odio. Una bella riflessione anche per il nostro mondo.

DiBa (dalla Gazzetta d’Asti del 26 novembre 2021)


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