Un altro lieto ritorno per il Polo Cittattiva: dopo il primo appuntamento di due anni fa, il prof. Peppino Ortoleva è tornato venerdì 21 maggio 2021 per presentare il suo ultimo libro “Sulla viltà. Anatomia e storia di un male comune" (Einaudi). A discuterne con lui il prof. Alberto Banaudi. Un gradito ritorno dopo l’incontro che aveva visto gli stessi protagonisti al Castello di Cisterna, a maggio 2019, per la presentazione del libro “Miti a bassa intensità” (Einaudi).
L’iniziativa è stata organizzata da Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese – I.C. di S. Damiano, Museo di Cisterna, Fra production, Lib. “Il Pellicano” e Aimc di Asti. Il libro è un saggio – come ha detto in apertura il prof. Banaudi - tratta un tema estremamente affascinante anche grazie alla capacità dell’autore di coniugare le sue conoscenze storiche, sociologiche, letterarie e filosofiche. L’ opera è strutturata in modo tale da affermare fin dall’inizio che la viltà è qualcosa che interessa tutti in quanto uomini e, proprio in quanto tale, l’autore se ne fa carico. Si impegna nella difficile impresa di definirla: “Vili sono quei comportamenti caratterizzati da un cedimento alla paura, all’opportunismo, all’avidità, all’egoismo che implicano un andare al di sotto dei valori dichiaramente accolti da un individuo e spesso accompagnati da un venire meno al proprio rispetto per se stessi”. Il libro si apre con gli esempi di Tersite, Pietro, Falstaff e cerca di far emergere i diversi aspetti della viltà non solo attraverso riflessioni teoriche ma anche esperienziali. Mostra come i paesaggi della viltà siano cambiati durante la storia cambiando, nel corso dei secoli, appartenenza sociale.
“Il titolo del libro prende spunto dal mio interesse per tutto ciò che riguarda l’umanità senza cadere in un universalismo generico: ha delle caratteristiche che la attraversano tutta e, dall’altra parte, ci sono delle peculiarità specifiche che riguardano il periodo storico. In particolare, mi interessa vedere cosa è cambiato con l’avvento della modernità, in modo non troppo semplice e lineare, tra ‘600 e ‘700. La viltà è un tema che riguarda tutti. Il suo segreto è che, se da un lato è inaccettabile, dall’altro è impossibile non esserlo del tutto perchè fa parte della condizione umana. Però ci sono stati anche cambiamenti storici come la democratizzazione del coraggio. Prima del ‘600, la viltà era una caratteristica distintiva dei ceti bassi. Tersite non è vile perchè è poco coraggioso ma perchè di basso lignaggio. Così il suo coraggio non è virtù ma eccesso di presunzione. Per millenni le plebi sono state considerate vili. Le donne, invece, non erano considerate vili ma avevano valori diversi dagli uomini. Ad esempio non andavano in guerra. Dovevano dimostrare coraggio e resistenza in ambito domestico, come Penelope. Successivamente, emerge diritto/dovere di donne e plebei di dimostrare il proprio coraggio a cui è, in fondo, condannata attraverso servizio militare e la partecipazione alla guerra. Quindi un passaggio storico dalla viltà che riguardava una gran parte della società a una situazione in cui tutti devono essere coraggiosi anche rischiando la vita” ha detto il prof. Ortoleva. Tutto ciò, ripropone un problema fondamentale: se accettiamo che tutti possano essere vili e che la viltà si trovi al di sotto di noi stessi, abbiamo la responsabilità personale tra coraggio e viltà? Un grande problema di filosofia morale che, però, ultimamente è stato trascurato. Il libro tratta tutto ciò dal punto di vista etico e non religioso partendo dall’idea che siamo tutti responsabili dei nostri atti. Le costrizioni possono attenuare le nostre colpe ma, alla fine, la responsabilità deve essere preservata come principio. Accettare la viltà come diritto può arrivare alla deriva delle giustificazioni naziste al termine della guerra: eseguivo gli ordini. Primo Levi, nel ‘68, scriveva che il nazismo era sostanzialmente una marea di viltà mascherata dai valori superiori dell’eroismo e della guerra. Il testo si sofferma molto sugli usi della viltà nella quotidianità perchè è anche un fatto sociale. I regimi totalitari utilizzano la paura ma anche la viltà seducendo alcuni ad utilizzare quel modello di potere. Ciò, però, avviene in tutte le grandi organizzazioni, specialmente nelle strutture burocratiche dove il sistema di potere si regge usando la viltà degli uni contro gli altri. Questi fenomeni si vedono meglio attraverso cinema e letteratura che attraverso un discorso teorico. Poco, invece, se ne sono occupati filosofi, psicologi, antropologi, sociologi perchè temi umani di questo tipo e anche le scienze umane e la filosofia contemporanea tendono a eluderli.
“Il libro è ricco di temi interessanti. Uno in particolare è molto raffinato e fa comprendere la la dimensione diversa dell'onore e della viltà. Il primo è un fatto pubblico mentre la viltà, che ha uno stigma sociale, riguarda l'interiorità dell'individuo. Ortoleva prende la libertà come ipotesi di lavoro ma è una nobile strada. Aver inserito la figura di Pietro è una scelta importante. Il futuro santo dimostra sia viltà che pentimento e le sue lacrime lo evidenziano. L’autore tratta pure della burocrazia attraverso altre citazioni letterarie dove si parla di viltà allo stato puro senza neppure la possibilità di avere dei vantaggi. Inoltre si occupa anche delle prime donne della modernità che diventano protagoniste della propria vita” ha sottolineato il prof. Banaudi. La viltà allo stato puro significa farsi piccoli di fronte ai potenti. Non nasce solo da paura e opportunismo ma anche dall’ egoismo generico: farsi i fatti propri e prepararsi a dei vantaggi. Talvolta la viltà nasce anche dall'invidia.
“Un libro decisamente stimolante anche a livello storico. Importante riflettere sul fatto che la libertà si coniuga solo alla prima persona e che, forse, tutti dovremmo avere tutti più coraggio” ha concluso il prof. Banaudi.